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SPAZIO FAMIGLIA

 

 

Il Figlio Terminale
Il 4 febbraio(?)la Chiesa ha celebrato la Giornata per la Vita. Ma per la mia famiglia, per me, mia moglie e per i miei figli il 4 febbraio è la giornata della morte. Il 4 febbraio, moriva nostro figlio Francesco, dopo solo 33 ore di vita.
La coincidenza di date può far pensare ad un amaro scherzo del destino e, del resto, l’intera esistenza di Francesco sembrò ad alcuni uno scherzo della natura, una mostruosità:"microcefalia".La diagnosi era arrivata inaspettata un giorno di ottobre, lasciandoci senza voce per chiedere, senza forza per stare in piedi, senza sangue per sentire calore. Era solo una parola ma definitiva; una irrevocabile sentenza di morte per nostro figlio e per il nostro spirito. Ci trovammo così ad affrontare l’assurdo di un feto destinato al feretro. Ci trovammo soli.
Molti attorno a noi non capivano, non condividevano
e preferivano negare quell’assurdo, sopprimerlo. Interrompere la gravidanza: questa la migliore soluzione, l’unica. Per il bene,
per gli altri figli, per noi stessi. Del resto,ci disse un medico, in fondo finché è nella pancia
è come un parassita e non c’è alcun vantaggio a portare avanti una gravidanza così. Sì,ci trovammo soli, distanti da tutti e perfino da noi stessi:
il cuore diceva una cosa, ma nella testa,

le frasi ascoltate,strisciavano suadenti fra i nostri pensieri,eco del suggerimento del nemico di sempre, l’antico serpente, ostile alla vita e alla felicità umana; senza neppure accorgercene la nostra attenzione si concentrò sulla gravidanza da portare avanti e non sul bambino da sopprimere, l’interesse si rivolse al vantaggio, alla superiorità dell’utile
in confronto all’inutile, piuttosto che alla incommensurabile distanza tra l’essere e il non essere.Arrivò il dubbio radicale: ne valeva la pena? Chi lo voleva un essere così inutile?Cos’era,chi era realmente? Dov’era Dio, in tutta questa storia?
Una notte svegliandomi, trovai mia moglie in lacrime, consapevole che non ce la poteva fare ad andare avanti. Cominciammo allora a pregare, senza neppure alzarci dal letto.Non volevamo spiegazioni, volevamo aiuto. Non volevamo conoscere il motivo, ma il senso. Non volevamo cambiare strada, volevamo essere accompagnati lungo la via.
Aprimmo il vangelo a caso e il passo di Luca dove
è scritto: Gesù era figlio come si credeva di Giuseppe, figlio di Eli, figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio..Cominciammo a piangere tutti e due: Francesco, figlio nostro, Francesco figlio di Dio. Ecco Chi, prima di noi, lo aveva voluto così,
lo aveva voluto per sé, lo aveva voluto per noi.
Nella risposta, una conferma. In fondo,credo,era come se già lo sapessimo, ma
aspettavamo che Qualcuno ce lo dicesse. Quella sentenza irrevocabile, quella parola di morte, si trasfigurava in una parola nuova. Francesco divenne parola per noi, forse parola per tutti, eco dell’Unica Parola, eterna ed irrevocabile: Amore. Con questa consapevolezza approdammo alle nuove visite, ai successivi controlli. Così accompagnati potemmo andare avanti e attendere. Non più soli. Combatterono al nostro fianco i nostri figli, pregando insieme con noi, tutte le sere per il fratellino malato. Camminarono con noi i fratelli
delle nostre comunità neocatecumenali.
E scoprimmo altri alleati preziosi, le famiglie dell’Associazione La Quercia Millenaria, con la loro confortante testimonianza. Famiglie che avevano vissuto gravidanze patologiche e avevano perso i loro bambini, appena dopo averli accarezzati; con loro siamo entrati in una rete di sostegno e di affetto, una risposta concreta alla solitudine soffocante
dei giorni precedenti.
Anche per le visite mediche successive facemmo affidamento particolarmente all’esperienza dei medici in contatto con la Quercia Millenaria, come il professor Giuseppe Noia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.
Ci condusse per mano in quella situazione senza umana speranza e ci diede di sperare: non nella guarigione ma nell’eternità. Perché nell’esperienza
di gratuità dell’amore è l’eternità stessa che si fa presente, irrompe e dà gioia.
Ricordo nel nostro primo incontro guardando l’ecografia, guardando oltre imperfezione, riconobbe in quell’immagine e in noi un’umanità ferita: E’ un maschietto, come lo chiamate? Piangendo, pronunciammo il suo nome.
Un parassita non ha un nome. Un figlio sì.
Francesco è nato il 3 febbraio;
quel suo volto imprevedibile e immaginato, sfogliando ansiosamente libri di medicina ci aveva messo paura,finché non lo abbiamo visto realmente. Dopo poche ore ha ricevuto il Battesimo, nel reparto di terapia intensiva neonatale e il sacramento ci ha aperto
un orizzonte nuovo: dove tutti, io per primo, dubitando di questo figlio, davanti alla sua fragilità mostravamo la nostra fragilità.Dio mostrava la sua gloria, la sua proposta d’amore: di questo bimbo
Lui solo non aveva mai dubitato, anzi lo aveva preferito al suo stesso figlio, aveva anteposto l’imperfetto al Perfetto, il fragile all’Eterno,
lasciando che morisse la Vita perché lui avesse la vita. Il battesimo di Francesco aveva squarciato
il senso del tempo brevissimo della sua stessa esistenza, spalancando l’eternità; aveva realizzato la parola che avevamo ricevuto in quella notte di pianto: Francesco figlio nostro, Francesco figlio
di Dio.
Il giorno successivo Francesco è morto:
era il 4 febbraio. E’vero,quest’anno(?) la Chiesa
ci ha invitato a celebrare la Vita proprio il 4 febbraio, per un insolito privilegio aveva scelto noi, per essere celebrata in modo speciale: stavamo là, accanto a Francesco, accompagnandolo nel suo breve viaggio,accarezzandolo. Celebrammo la vita, non la morte. E nel nostro stare là,apparimmo finalmente Uomini,scoprimmo l’Amore, imparammo la maternità e la paternità: vivi, pienamente, anche noi.


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