Giornale Web
LA PSICOLOGA

Mettersi nei panni degli altri

Quante volte abbiamo sentito dire questa frase..
parole che, spesso, purtroppo, riempiono la bocca
di quelle persone che, dando importanza solo
all’apparenza più che alla sostanza, si rendono
protagonisti unicamente di uno sterile buonismo.
In realtà, queste stesse parole sono portatrici di un messaggio molto profondo, oltre che difficile
da accogliere e concretizzare. Mettersi nei panni
degli altri
vuol dire essere in grado di capire che la persona che abbiamo davanti a noi, in ogni situazione
ed indipendentemente dalle sue condizioni fisiche,
mentali ed economiche, è come noi. Da cristiani, istintivamente, diciamo (spero ci crediamo!) che ciò
che ci accomuna è il grande dono che il Signore
ha fatto ad ognuno di noi: siamo Suoi figli.
La nostra natura ci unisce: siamo stati tutti creati
a Sua immagine e somiglianza. Siamo uomini, con i nostri limiti, affascinati spesso, più dalla ricchezza,
dal prestigio, dal potere che dall’amore, dalla pace,
dalla solidarietà. Ma a questo essere più “carnale”,
ce n’è un altro, bello e divino. Quella parte di noi è
squisitamente riflesso dell’essere figli di Dio, padroni
di tutte le altre creature. E’ la nostra reale natura, quella che ci nobilita, eppure, spesso, è proprio questa a rimanere più nascosta, è questa che stentiamo a tirar fuori nella quotidianità. E che, dunque, è più difficile riconoscere nel prossimo. Io credo che tutti noi, nel momento in cui ci affacciamo in questo mondo, siamo costituiti da questa natura. E’ la nostra Essenza di Figli di Dio. Certo, è la Fede che mi fa parlare così e, so che è un’affermazione opinabile da parte di chi non crede o crede in altro. Ma credo sia oggettivo e meno contestabile il peso e la forte influenza che assumono l’ambiente, la cultura, le circostanze storiche
in cui si vive nel plasmare la persona, interagendo
con le sue caratteristiche genetiche, biologiche, innate. Ho una visione ottimistica dell’uomo e della sua natura, anche se ogni giorno, come tutti voi, sono bombardata da notizie che riportano fatti di odio, guerre e violenza. Certo, soffro nel vedere scene, da tutto il mondo, cariche di sofferenza e spesso letteralmente inumane, eppure credo che il risultato di tutto ciò dipenda molto dal tipo di società in cui si vive a livello-micro (la famiglia, gli amici, i gruppi primari) ed a livello-macro (le istituzioni, la legislazione vigente in quel determinato ambiente, le tradizioni culturali, la qualità del sistema informativo nel suo complesso). Legami familiari così come le caratteristiche socio-culturali ed economiche dell’ambiente in cui si cresce e si vive, possono fortemente incidere sulla personalità umana, rafforzando e/o plasmando o la parte positiva della natura umana o i suoi limiti. Ad esempio, chi ha avuto vicino, durante la propria infanzia, una persona amorevole e da questa è stata costantemente curata, sarà con molta probabilità una persona con alta autostima, che si percepisce sicura e degna di essere amata.Al contrario, chi ha avuto esperienza di una figura vicina, incapace di dare l'affetto richiesto quantitativamente e qualitativamente, perché percepita come incostante, fredda, irraggiungibile, rischia di diventare una persona insicura, che si vede come indegna di essere amata e vede anche gli altri come incapaci di amare. L’aggressività, l’incapacità di preoccuparsi del proprio e dell’altrui benessere e dignità, dipendono fortemente da queste prime esperienze vissute.Quasi sempre.
Anche a livello più ampio, vivere in una comunità
povera economicamente,con uno scarno tessuto sociale
e con una bassa partecipazione attiva, influisce molto
sulla tipologia di cittadini che questa stessa comunità “produce”. Ho sottolineato tutto ciò, perché può aiutare ognuno di noi a “Mettersi nei panni degli altri”.
Quando ci troviamo di fronte una persona che ci chiede l’elemosina, invece di dirgli di spostarsi perché ci sta scocciando, pensiamo che, molto probabilmente, è una persona che ha dietro le spalle, un vissuto più sfortunato del nostro. La stessa cosa vale per i senza-fissa dimora, per gli immigrati che arrivano a migliaia nel nostro Paese. Vale per i giovani che, in tenera età,si buttano via,drogandosi,facendo atti di bullismo,insultando il prossimo solo perché di un’altra etnia o religione (e ciò, purtroppo, accade anche tra gli adulti). Attenzione: non sto giustificando la violenza, il razzismo, la mancanza di rispetto in nome di un falso buonismo o di un indifferente relativismo. Chi si macchia di odiosi crimini è giusto che sconti la sua pena. E’ Gesù stesso a dire che chi scandalizza anche solo uno dei piccoli è meglio che si leghi una pietra al collo... Con questo, sto solo invitando tutti, me per prima, a cercare di capire, prima di giudicare e condannare. Pensare che chi sbaglia lo fa non sempre ed unicamente perché è un mostro, uno scarto della società ma, forse, perché non è mai stato educato all’amore, al rispetto, al perdono.Ripeto,ci sono gesti sui quali sembra falso e quasi inumano passarci sopra: ma applichiamo tutto ciò, non ai casi estremi, ma alla vita di tutti i giorni. Immaginate quanta rabbia potremmo risparmiarci e quanto più serenamente si vivrebbe, se evitassimo di giudicare ogni singolo gesto altrui come contro di noi, superficiale, sbagliato, cattivo...
Immaginate come arriveremmo più tranquilli a fine giornata, se lasciassimo andare tante piccole stupidaggini: nel lavoro, mentre guidiamo la macchina, aspettiamo l’autobus, facciamo la spesa al supermercato... Mettersi nei panni degli altri, dunque, vuol dire contare fino a dieci prima di emettere sentenze. Vuol dire capire che, come sbagliamo noi, sbagliano gli altri. Vuol dire pensare che, probabilmente, molti che arrivano a compiere gesti condannabili sono uomini che hanno avuto molta meno fortuna di noi. Persone che non sanno di essere state create ad immagine e somiglianza di Dio.
E noi dobbiamo dirglielo con la nostra testimonianza.

Prima di condannarle chiediamoci: noi lo sappiamo?
E se la risposta è sì, ce lo ricordiamo in ogni esperienza quotidiana, con chiunque sia il nostro prossimo?



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