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Bicentenario
della nascita
di Guglielmo Massaja
(1809-2009)
Antonio
d’Abbadie
di Antonino Rosso
La
Missione dei Galla fu istituita in seguito a una relazione
dello scienzato-esploratore francese Antonio
Thompson d’Abbadie (1810-1897),
che stabilì con il Massaja un rapporto
amichevole, durato praticamente un quarantennio. Riportiamo
lo scritto: Dolci ricordi e speranze, composto nella circostanza
della morte del venerando amico:
“Nella morte del cardinal Massaja
la Chiesa
perdette un grande operaio, l’Etiopia il suo apostolo,
la società un instancabile propagatore d’incivilimento,
la scienza e le lettere un facile e brioso scrittore, l’Ordine
Cappuccino un illustre figlio, io un amico sincero e costante.
Ma il cielo acquistò un Santo. Quando il 9
Marzo del 1845, io, dal centro dell’Abissinia, proposi
all’Eminentissimo prefetto di Propaganda Fide di mandare
una Missione nei paesi Galla, vagheggiava nella mia mente
un ideale
di missionario che, investito dello spirito e dello zelo
dei primi discepoli del Nazareno, corresse con tanto ardore
per quelle regioni e riconducesse alla luce della fede quelle
semplici e sventurate genti. Incontrato
poi a Gualà nel Luglio del 1847
il cappuccino Massaja,destinato capo della Missione,
vidi che quell’ideale aveva già preso corpo,
che il mio voto sarebbe stato appagato più di quanto
potevasi sperare che, nei Paesi Galla, avrebbe presto gettato
i suoi salutari raggi la nostra cattolica fede.Quel
volto attraente e venerando, quello sguardo vivo e penentrante,
quella parola fluida, affettuosa, divota, quella robustezza
di
fibra e vigoria di salute, mostravano
che in quell’uomo eravi la stoffa dell’apostolo,
che in quel petto bruciava un amore grande per la conversione
e salute dei popoli, e qualsiasi contrarietà ed ostacolo
umano non lo avrebbero scoraggiato, né ritratto dalla
santa impresa,
cui si era dedicato. Convinto di avere
ricevuto quella missione da Dio, qualunque sacrificio,
anche quello della vita, sarebbe tornato lieve al fervente
apostolo. E quando, divisomi da Lui, gli diedi l’ultimo
abbraccio, e gli baciai riverentemente la mano, volgendo
gli occhi nella direzione dei Paesi Galla: Iddio,
esclamai, ha avuto misericordia delle vostre genti e verrà
presto chi le condurrà a salute! Ritornato
poi io in Europa, seguivo ansioso, ma con sensi di ammirazione
e di piena soddisfazione, gli arditi passi del fervente
pastore; che, solo, ignaro delle lingue,scalzo,con un grosso
fardello sulle spalle attraversava infocati deserti, saliva
scoscese montagne, inoltravasi per climi malsani in cerca
di pecorelle. Lo vedevo affrontare impavido le ire dei mussulmani,
le gelosie degli eretici, le superstizioni dei pagani; e
trattando tutti con carità e dolcezza, a poco a poco
li ammansiva, e se ne accattivava
gli animi. Nessuno più di me
può sapere a quante privazioni, a quali pericoli,
a che sorta di dura vita si espone il Missionario in Africa!
Ebbene, narrandomi poi il Massaja i casi tristi e
fortunati del suo apostolato, i patimenti e le persecuzioni
sofferte, parlava con tale tranquillità d’animo,
con volto ed accento sì ilari, che sembrava raccontasse
le più liete e festevoli cose del mondo. Donde
attingeva egli questa forza di spirito, questa santa
abnegazione, quest’apostolico coraggio? Dalle
virtù, che gli adornavano il cuore; dallo zelo, che
gli bruciava il petto; dalla confidenza in quel Dio, il
cui conforto rende potenti le più deboli creature.
Strappato finalmente dalle braccia dei suoi figli
e costretto a prendere la via dell’esilio, e ad allontanarsi
da quella terra, su cui aveva giurato di morire, sentendolo
parlare, non sapevi distinguere se maggiore fosse in lui
il cordoglio o la rassegnazione per quell’ingiusto
trattamento.
Ma comprendevo bene che il cuore di
quell’apostolo non nutriva odio e rancore contro chicchessia,
nemmeno contro i suoi più accaniti nemici;
e che quelle labbra si aprivano solo per pregare
per la sua cara Etiopia, e principalmente per coloro che
lo avevano assai perseguitato. E non
basta questo eroismo per mostrare che il Massaja era un
Santo? Colpito negli ultimi anni da cruda malattia,
lo visitai due volte, a Frascati ed a Napoli, e lo trovai
sempre ilare, sempre affettuoso,
sempre calmo; contento anzi che finalmente si avvicinava
il giorno delle sospirate nozze col suo Dio. In quelle due
visite versai tutto il mio cuore
nel cuor suo; e ricevuti gli ultimi suoi insegnamenti, me
ne partii inebriato di celesti dolcezze.
Ci rivediamo in Paradiso, mi disse,
dandomi l’ultimo abbraccio. Ora egli è
lassù che mi attende; ed a me
ormai carico di anni, sorride, con piacere, l’idea
che presto raggiungerò l’Amico nella patria
beata”.
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