«Il cristiano è il nemico dell’assurdo,
è il profeta
del significato. Non per volontà disperata, ma
nel riconoscimento che questo significato è stato
testimoniato dai fatti proclamati dalle Scritture»
(Paul Ricoeur).È capitale
e urgente ridare un senso,
un significato espressivo e “ultimo” alla
nostra
consacrazione fondata sul Vangelo,sulla testimonianza
di Francesco e di tanti fratelli e sorelle che hanno incarnato
questo messaggio-eredità lungo i secoli.
Evocare e rivisitare la nostra storia
per scoprire:
A)
I miracoli compiuti dallo Spirito con la nostra povertà-disponibilità;
B) La fiducia nelle
possibilità inespresse che potrebbero dare alla
nostra vocazione
il coraggio di rendere di nuovo attuale il passato
con forme e modalità diverse. Essere “profeti
del significato”esige la capacità di ritrovare
il senso vero dei nostri gesti concreti di ogni giorno
(personali e comunitari), al di là della ripetizione
meccanica
e regolare, per riviverli, riattualizzandoli in una dinamica
di ricerca e di incontro con il Signore
e con gli altri. La conversione dovrà avvenire
nello “ordinario”
della nostra vita. La speranza che già viviamo,
non è un calcolo probabilistico, né una
rassegnazione fatalistica, ma una
intuizione e tensione interiore verso una realtà
affascinante di cui già possediamo la caparra (cfr.Romani
8,23). Questo riaccende in noi un rapporto di fiducia
con Dio,
con noi stessi e con gli altri.Da qui scaturisce uno slancio
vitale e un desiderio di pienezza che unisce e anima la
nostra esistenza. La speranza è
un lungo cammino di liberazione e di espropriazione: superando
la paura del nuovo e disancorandoci dal “sempre
fatto così”, essa ci aiuta a
guardare le situazioni in profondità per
cogliere, anche dietro i fallimenti
più clamorosi, i segni del possibile rinnovamento,
quello che “c’è
ancora da fare oggi” con l’aiuto dello Spirito
e senza rimpianti.(Fr.Giacomo Bini). La
spiritualità diventi testimonianza di una
comunione concreta,che esige da tutti noi la
capacità di stabilire rapporti significativi e
veri, non possessivi o interessati, con ogni creatura,
la capacità di dialogo
come condizione di vita per un futuro umano ed evangelico.
È proprio un’utopia
metterci tutti a disposizione del Regno, nell’obbedienza
reciproca,
senza arrivismi, privilegi o poteri da difendere,
ma attratti unicamente da Colui che ci ha chiamati
e inviati? Il giorno in cui ognuno di noi, con
gli occhi fissi al Signore che viene, aderendo al Vangelo
e alla Regola, riuscirà a dire: «Signore:
eccomi!
Fa’di me quello che vuoi», almeno
per qualche anno,
la Fraternità e l’Ordine intero assumeranno
un altro volto.Viviamo in un mondo
che cambia con una rapidità incredibile: non possiamo
permetterci di essere “distratti”, lasciarci
distrarre, lasciarci portare
qua e là, senza essere concentrati sull’essenziale,
su una vita interiore custodita e continuamente rinnovata.Dobbiamo
entrare in una dinamica
di identità francescana,solida e stabile interiormente,
per essere capaci
di adattarci ai cambiamenti rapidi
in mezzo ai quali viviamo; di integrarli nella nostra
identità, continuamente verso il significato “ultimo”;
ciò comporta il rinnovamento delle strutture esterne
per renderle dinamiche e significative.
Si tratta di una identità “in via”;
del resto il cristiano è,
per definizione, un viator,
vive una dinamica di conversione continua, proiettato
verso la tappa finale del Regno;
vive tra il “già” e il “non ancora”.Parlare
di fede e di
vocazione significa parlare di esperienze
dinamiche,
non statiche. San Francesco
vive
l’esperienza dell’essere «forestiero
e pellegrino» come fondamentale per la sua e la
nostra vita spirituale.
Riflessioni1
1) Da una parte pensiamo e concepiamo l’Ordine come
Fraternità internazionale, dall’altra
programmiamo esclusivamente e quasi gelosamente solo entro
i
ristretti limiti della Provincia; eppure il nostro
carisma, sin dall’inizio, ha avuto dimensioni di
universalità, più che di fedeltà
territoriale.
Come risolvere questa contraddizione?
2) Formare i laici che ci
sono vicini(OFS.)per renderli più responsabili
e partecipi del nostro carisma.
Aprire loro le nostre Case...,le
nostre verifiche, non potrebbe forse aiutarci a rivedere
le ns.strutture?
3) Non accade spesso che interessi troppo personali, mancanze
di libertà, distruggano la fiducia reciproca, impediscano
relazioni vere e fraterne all’interno e tra le entità,
nell’Ordine e con il mondo che ci circonda?
Riflessioni2
1) Come
facilitare il cambio di mentalità?
2) Come ri-proporre
e ri-attualizzare
con sincerità la formula
di professione?
3) Come suscitare
nei Fratelli la fiducia
in Dio, in se stessi, negli altri?
4) Quale struttura - interna
o esterna - può aiutare
a “pro-vocare” questa
conversione?
5) E se ricominciassimo con
i "lebbrosi",
cioé condividendo la "vita
degli ultimi" e ci
spargessimo per il mondo in piccole Fraternità?