Erano perfettamente opposti:
uno lungo e magro, l'altro piccolo, tondo e grassottello;
uno esclusivamente dedito ad attività socio-caritative,
l'altro fortemente impegnato e preoccupato per la formazione,
specialmente dei giovani.
I due erano il padre Luigi Miraglio, fratello di padre
Fedele e il padre Guglielmo Alfero.
Ho detto che erano opposti; ciononostante non c'erano
echi di litigi, anzi furono compagni complementari per
lunghi anni nella stazione di Mosteiros, nell'isola di
Fogo, l'uno a badare ai corpi, l'altro ad alimentare gli
spiriti.
Padre Guglielmo era il barilotto pieno di salute, di battute
umoristiche e di zelo per l'evangelizzazione.
Una volta cadde da un asinello
e a chi lo soccorreva chiedendo: - come sta, padre? S'è
fatto male? Rispose: - Ah, prima stavo meglio!
Se a tavola c'era il formaggio, ne assaporava una fettuccia
citando il detto di chi non so chi: "al contadino
non far sapere quant'è buono il cacio con le pere"
(anche se le pere c'erano solo in ricordo).
Raccontano anche che, ancor giovane in Italia, un giorno
si trovasse in treno e che una frenata brusca lo gettasse
in braccio ad una donna che gli sedeva di fronte, al che
il giovane Alfero avrebbe esclamato citando un poeta:
"il navigar m'è dolce in questo mare!".
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Guglielmo e Federico a San Lorenzo
Bimbi in festa
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Invece
attraversando una piazza pare che una ragazza si fosse permessa
di ironizzare sul suo pancione, al che egli si voltò
prontamente apostrofandola in piemontese: "sumia dal
cul plà".
Il giovane Guglielmo Alfero non passò per il seminario;
era una vocazione adulta. Era tipografo diplomato, tanto
provetto che le aveva lasciato in una macchina le ultime
tre dita della mano destra.
Religiosamente faceva parte della gioventù impegnata
che a Torino visse al tempo di Piergiorgio Frassati.
Comunque sia, un bel giorno il tipografo Alfero lasciò
la morosa e salì il Monte dei Cappuccini a chiedere
di vestire il santo abito.
Terminata la formazione,
il frate Guglielmo fu inviato in Etiopia, ove rimase più
anni lavorando tra i Cunama, fino al 1943, quando fu rimpatriato
per la conquista inglese.
"Malato d'Africa", chiese ed ottenne di lavorare
in Capo Verde; giunse poco dopo il 1950 e, dopo una breve
permanenza a Brava, fu inviato a Mosteiros, e là
rimase fino al 1978, quando rientrò definitivamente
in Italia per malattia.
Per capire le avventure e le fatiche missionarie di padre
Guglielmo è indispensabile conoscere la geografia
dell'isola di Fogo, dalla parte in cui si trova Mosteiros.
Innanzitutto il nome: "mosteiros" equivale al
nostro "monastero"; ma da quelle parti non c'è
ombra storica di monastero; forse fu chiamato così
per l'isolamento a cui, per mancanza di strade, era condannato,
all'interno dell'isola e col mondo esterno.
Il municipio di Mosteiros
è formato geograficamente da due aree nitidamente
separate: a livello del mare corre una striscia di terra
pianeggiante su cui sono situati vari villaggi; questa striscia
dal lato terra è delimitata da una parete rocciosa
alta tra i cento e i duecento metri, dopo la quale inizia
un'area fortemente inclinata sulle pendici del vulcano.
E' la zona più fresca e più fertile:la coltivazione
inizia dalla parete rocciosa e sale su fino ai mille e più
metri e naturalmente nella parte più bassa ci sono
case sparse e villaggi, belli da vedersi ma difficili da
raggiungere.
Il lavoro principale di padre Gugliemo era la formazione
dei catechisti e dei giovani in generale.
Nella zona pianeggiante lungo
il mare non c'erano molti problemi: il padre aveva una motoretta
con cui si dislocava, ma quando si trattava di salire nella
zona alta, lasciava la motoretta ai piedi delle rocce e
poi pian piano faceva la scalata per dei sentieri che mozzano
il fiato.
Collezionò varie avventure con la motoretta; ad ogni
modo, forse per il fisico tondeggiante, sapeva rotolare
bene come un paracadutista e non ebbe mai accidenti grossi,
tranne una volta che si fratturò un piede e dovette
recarsi all'ospedale di Praia.
Qui, dopo le prime cure il medico curante sparì,
tanto che il padre Guglielmo impaziente di poter tornare
al suo lavoro, era tremendamente scocciato.
Quando finalmente il dottore ricomparve, padre Guglielmo
l'accolse insinuando: "eh, dottore, se fossi stato
una bella ragazza non avrebbe certo lasciato passare tanto
tempo senza venirmi a vedere!"
Promotore di una fede impegnata e coerente, specialmente
tra i giovani, cio venti e più anni che visse a Mosteiros,
si può dire che formò una generazione di cristiani.
Ebbe pure delle delusioni
– tanto più facili tra i giovani – e
padre Guglielmo se ne addolorava come se si trattasse di
figli e qualche volta non risparmiava i rabbuffi o qualche
semi-parolaccia.
Ancora un ricordo relativo all'ultimo periodo della sua
vita, quando eravamo compagni di comunità e a notte
immancabilmente mi appariva sulla soglia della stanza con
la lampada a pile in mano per augurarmi gentilmente: "Buona
notte!".
Ma il ricordo che volevo riferire è il seguente:
In quegli anni padre Guglielmo era stato consigliato ad
abbandonare la motoretta, il che equivaleva all'inerzia.
Così il mattino dopo colazione, mentre io accudivo
ai miei programmi, lui ritornava in cappella con un grosso
libro di commento alla Bibbia, si sedeva su di un banco,
il librone su di uno sgabello; si dedicava così a
una lettura impegnativa.
Non è detto che abbia fatto anche qualche pisolino
su quel librone, il che però non toglie nulla al
bell'esempio di chi ha insegnato tutta una vita, ma è
convinto che anche lui è ancora alunno. |