Un altro compito che mi fu affidato
all'inizio fu di compilare lo schedario degli abitanti
della nostra zona. La zona, oltre il capoluogo, S. Filipe,
comprendeva villaggi agglomerati o di case sparse, collegati
da una strada carrozzabile o da sentieri appena tracciati;
il tutto poteva assommare 10.000 abitanti.
Inforcai la mia moto
Guzzi 50 cc. e percorsi in lungo e in largo la zona, raggiunsi
le località sperdute, percorsi i sentieri dei pastori
e delle capre, tentai di registrare i più strani
nomignoli; conobbi il segreto della costituzione di alcune
famiglie: madri uniche responsabili di una nidiata di
figli, uomini con doppia famiglia, bambini scritti all'anagrafe
con un solo genitore.
Insomma, il lavoro si faceva interessante, cominciavo
ad afferrare un po' di criolo, conoscevo la vita da vicino
e nascevano le prime amicizie.
Vidi da vicino l'animazione delle scuole parrocchiali,
che i missionari aprivano per rimediare alla carenza di
scuole elementari. Ricordo Antonino di Curral Grande che
riusciva a tenere a bada uno sciame di circa 150 alunni,
delle quattro classi, dividendoli in gruppi e utilizzando
i maggiori nell'insegnamento dei minori.
Pochi anni dopo questa
esperienza iniziale fui trasferito a S. Lorenzo, dove
da anni lavorava il padre Fedele.
Questo reduce dell'Abissinia, già quasi anziano,
era un bel modello di missionario instancabile, di intensa
vita spirituale, con un apostolato organizzato in base
a schedari di ammalati, poveri, lebbrosi, catechisti.
Di indubbia ortodossia cattolica di tipo preconciliare,
mi strigliava senza mezzi termini quando sembrava che
uscissi dal retto cammino senza però conservare
un'ombra di rancore o animosità: un vero modello
di fratello anziano.
La mia prima incombenza fu di portare la comunione pasquale
ai vecchi e malati dei vari villaggi seguendo l'elenco
che si tramandava da un anno all'altro.
Partii con fratello mulo
e con l'indicazione delle famiglie dove sarei stato ospitato.
Qui conobbi la generosa ospitalità della gente
ma anche – la notte – la voracità di
pulci e cimici particolarmente affamate di carnagione
bianca.
Questo circolare colla lentezza del mulo mi facilitava
il contatto colle persone, in particolare con i cristiani
disposti a perder tempo con me per accompagnarmi ai casolari,
mi permetteva di conoscere sempre meglio la fauna e la
flora, i costumi e i problemi della vita e delle famiglie.
Tra tutti emergeva il
problema dei lebbrosi che vivevano isolati nelle loro
case condannati all'abbandono e alla miseria.
In collaborazione con gli altri missionari e le sorelle
francescane nasceva il desiderio di riattivare il vecchio
edificio dell'antica lebbroseria per convertirlo in casa
di accoglienza dei lebbrosi. L'edificio ci fu concesso
e fu ribattezzato col nome di Casa Betania.
Grazie alla generosa collaborazione delle Sorelle Francescane,
Casa Betania fu per un trentennio un faro di testimonianza
evangelica per tutta l'isola di Fogo.
Solo con la recente costruzione del Centro Sociosanitario,
Casa Betania vi fu trasferita in un padiglione nuovo colla
prospettiva di una nuova fioritura di amore e di solidarietà
con i poveri.
|
Pietro con la sua Guzzi
Federico il filosofo e lo scrittore
Eccoci in 2, il mulo e la Guzzi!
Ecco la Guzzi di Padre Ottavio
|