Dopo
40 anni di vita in Capoverde, vorrei parlarvi dell'ospitalità
del capoverdiano.
Per quanto paia strano a noi europei, qui
lo strano è non salutare lo sconosciuto che incontri
per strada. Essere ospitali vuol dire non essere diffidenti
verso lo sconosciuto che batte alla porta, e quindi lasciare
la porta aperta o socchiusa, entrare in casa invece di fermarsi
sulla porta quando visiti o vuoi salutare qualcuno.
Il capoverdiano estende il buon
tratto anche agli animali domestici, per cui si accusa come
di una colpa quando batte o ferisce senza motivo una capra,
un cane o un gatto.
E' pure un'espressione di ospitalità,
cioè di apertura e di amicizia, il prendere la benedizione
di un anziano. Il bambino, nell'educazione tradizionale,
è educato, in segno di rispetto e di deferenza, nell'incontro
con un parente o con una persona adulta, a chiedere
la benedizione.
Anche la formalità con cui è
chiesta e data la benedizione è degna di nota. L'inferiore
o chi chiede la benedizione prende la mano del partner e
la porta fino a toccare la sua fronte dicendo: "Dammi
la tua benedizione". Quindi il partner risponde
con una frase di buon augurio, secondo le circostanze. Per
esempio: "Dio ti dia salute!" o "Dio
ti accompagni!".
Questa attitudine di trattare amichevolmente
l'ospite credo che stia alla radice di quella di non dire
mai di no, o almeno di rifugiarsi dietro una bugia benevola,
o, quando si tratta di una data per consegnare un lavoro
o di un servizio da eseguire, promettere con il tradizionale
"domani". Un più franco sì o
no o una data precisa suona come un inganno o un tratto
brusco.
Quando un bambino rimane orfano
di padre o di madre, non manca mai l'uomo o la donna che
gli trova un posto in mezzo ai suoi figli dicendo: "Dio
che ha dato bocca (all'ultimo venuto) gli darà anche
il boccone (la sua razione)".
Questo atteggiamento ospitale e
benevolo è quanto mai utile per colorire e rasserenare
la convivenza umana, spesso tesa e irta di tensioni.
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