Un giovane cardiologo
di Fabrizio
Bar
E-mail: fbar69@yahoo.it |
Nel
week-end, assieme ad una comitiva proveniente da Asti giunta
in visita al Centro Sanitario, saliamo con i pick-up verso
l’altopiano di Cha e ammiriamo l’imponenza del
Pico do Fogo, inerpicandoci con la guida fino alla voragine
creata dall’ultima eruzione del ’95.
Uno
spettacolo della natura senza eguali. Grazie al collega
Evandro, giovane medico di Fogo, laureato a Cuba e futuro
chirurgo, una gita in taxi ci permette di compiere il periplo
dell’isola per ammirare anche la costa nord, ove la
vegetazione è più rigogliosa. |
Grazie
ad un collega pneumologo vengo a conoscenza la
scorsa estate dell’esistenza, in una piccola isola
dell’arcipelago di Capo Verde, di un Centro Socio
Sanitario fondato dai cappuccini piemontesi, dove personale
medico è ricercato per prestare opera volontaria
a beneficio della popolazione locale. Contatto Marco Valente,
il responsabile dell’area medica internistica-cardiologica,
che mi ragguaglia sul lavoro da fare e sulla “mission”
dell’Ospedale San Francesco e, dopo accordi con l’associazione,
per tutto ciò che concerne la logistica del viaggio,
sono pronto a partire.
Il
mio entusiasmo contagia amici, parenti e colleghi di lavoro
che raccolgono una considerevole somma di denaro con cui
acquisto numerose confezioni di farmaci cardiologici, antibiotici,
broncodilatatori e antinfiammatori.
Riempito il valigione
con tutto l’occorrente, si parte da Milano un sabato
notte di metà gennaio. Durante il viaggio verso questa
mia prima esperienza in un paese tropicale il tempo trascorre
fra qualche lettura e molte domande che mi pongo: cosa troverò
sul posto? Sarò all’altezza della situazione?
Ma ecco Sal, poi Praia e per una circostanza fortuita di
coincidenze fra i voli interni arrivo a Fogo con ben 6 ore
di anticipo rispetto al previsto.
Una
spessa coltre di nubi mi impedisce di scorgere la cima del
vulcano di cui tanto avevo sentito parlare. All’aeroporto
trovo ad accogliermi Padre Ottavio ed Anna Bonamico, salgo
nel cassone del pick-up e si parte verso l’ospedale.
È domenica
pomeriggio, gli ambulatori sono chiusi per cui c’è
tempo per guardarsi intorno, visitare il Centro, conoscere
Padre Federico, donna Paula, il collega chirurgo Lorenzo,
Serghejy e la moglie Tatiana, le sorelle francescane, e
poi scendere sulla meravigliosa spiaggia nera e passeggiare
fino al termine del tratto sabbioso. |
Il giorno successivo
si inizia a lavorare, l’ambulatorio apre alle 8:
mi accolgono Miza e Cesarina, infaticabili infermiere
che, oltre ad assistermi nell’esecuzione delle visite,
degli ECG e degli ecocardiogrammi, assolvono al prezioso
compito di “traduttrici”.
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Ogni giorno
visito una decina di persone: tanti bimbi con soffi cardiaci,
pazienti con patologie valvolari reumatiche, alcuni già
operati in Portogallo o negli USA, ma anche persone molto
anziane con patologie classiche dell’età
avanzata.
L’infaticabile
attività chirurgica del collega Lorenzo, che affronta
fino a tarda ora interventi complicati, è d’esempio
per tutti e una sera ho l’occasione di poter assistere
ad un parto cesareo d’urgenza per poter far nascere
un grosso maschietto da una mamma molto minuta. Mi diventa
molto chiara la “mission” dell’ospedale
San Francesco sull’isola di Fogo: su un’isola
dove non esisteva prima una sala operatoria né
medici specialisti, tutte le urgenze dovevano essere trasportate
in aereo verso Praia, la capitale, naturalmente se si
faceva in tempo…
Visiterò
in tutto 88 persone. Mi rendo conto di come sia difficile
far comprendere alle persone la necessità di proseguire
indefinitamente terapie croniche, forse per la difficoltà
nell’approvvigionamento dei farmaci da parte di
coloro che abitano nei paesini di montagna più
lontani da Sao Filipe, unitamente a enormi difficoltà
economiche innegabili.
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Con
Padre Federico e Gianni si va in visita ad alcune persone
indigenti che abitano in capanne sulla montagna, portando
qualche genere di conforto.
Dopo 15 giorni viene
il momento di ritornare in Italia: un vivace venticello
spazza vie le nubi che lasciano spazio ad un cielo terso
e un sole caldissimo. Si torna a Milano dove nella notte
è scesa tanta neve, con non poche difficoltà
per l’attività dell’aeroporto. Nella
valigia il ricordo di un’esperienza forte, positiva,
coinvolgente e nel cuore la voglia di tornare il prossimo
anno.
Vengo
chiamato una sera nell’ospedale di Sao Filipe per
vedere un bimbo di 3 giorni di vita, nell’incubatrice,
cianotico, con una verosimile patologia valvolare e sindrome
di Down: assieme alla pediatra non ci resta che comunicare
ai genitori che questo loro quinto figlio purtroppo non
ce la farà.
Così, giorno
dopo giorno, familiarizzo con i capoverdiani, sempre molto
cortesi e riconoscenti per ciò che si cerca di fare
per loro. Le giornate trascorrono più velocemente
di quanto si voglia.
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