Il
Lavoro minorile nel mondo
Da una pubblicazione dell'Unicef sul Lavoro Minorile,
è molto utile per i corsi di approfondimento sulla
Mondialità, per i programmi delle scuole, andare
a vedere i dati presenti sul sito
www.progscuola@unicef.it
Nessuno sa con certezza quanti sono i bambini
e le bambine che lavorano nel mondo.
In mancanza di cifre esatte, l’OIL
(Organizzazione Internazionale del Lavoro) stima
che siano coinvolti nel fenomeno circa 250 milioni
di bambini fra i 5 e i 14 anni nei PVS. A questi vanno
poi aggiunti i bambini-lavoratori del mondo industrializzato,
Europa (soprattutto nei paesi
exsocialisti), Nord America e Oceania.
Per l’Italia è
stata finora ipotizzata la cifra
di circa 530 mila casi, secondo alcuni studi.
Negli Stati Uniti lavorano
circa 5 milioni e mezzo
di ragazzi. Oggi possiamo
sperare che si bandisca dalla storia il lavoro minorile
forzato, al pari
di quanto già accaduto con la schiavitù
e con l’apartheid.Non
sarà certamente una strada facile né breve,
poiché gravi cause strutturali
sono alla fonte del lavoro dei più piccoli, ma
non vi è difficoltà che possa giustificare
l’inerzia di fronte a un’ ingiustizia assurda,
che colpisce i soggetti più deboli per il profitto
di pochissimi.
La prima fondamentale causa del
lavoro minorile,
a tutte le latitudini, è la
povertà.
Con ciò non si vuole affermare che la povertà
conduca necessariamente al lavoro minorile:
lo Stato indiano del Kerala,
ad esempio, ha virtualmente abolito questa piaga
al suo interno, pur essendo tutt’altro che ricco.
Tuttavia, sono
le famiglie economicamente più vulnerabili quelle
da cui provengono i piccoli lavoratori e le piccole lavoratrici.
Per le famiglie povere, il contributo offerto dal
reddito di un bambino che lavora
può fare la differenza tra la fame e la sopravvivenza.
«Più una popolazione
è povera,
più ha tendenza ad avere molti figli che possano
contribuire a mantenere le famiglie. Più una popolazione
è povera, più è analfabeta, in quanto
i bambini, costretti a lavorare, non vanno a scuola. E
più una popolazione è analfabeta, più
rimane nel sottosviluppo e nella povertà»:
il sociologo pakistano Nazar Ali
Sohall sintetizza così
il circolo perverso che lega povertà, ignoranza
e sfruttamento del lavoro minorile.
L’UNICEF affronta
il problema
del lavoro minorile con una visione globale, coinvolgendo
il maggior numero possibile di attori sociali ed istituzionali:
i bambini, le famiglie,
i governi, le organizzazioni non governative locali
e internazionali, ma anche sindacati, datori di lavoro,
leader spirituali. Non ci sono ricette
univoche, ma, ovunque, è indispensabile
produrre uno sforzo di creatività progettuale,
modulando interventi diversificati, con l’unico
obiettivo
della massima efficacia. E’fondamentale
offrire un’alternativa al
lavoro, altrimenti si rischia semplicemente di
creare nuove forme di miseria. Quando,
nel 1993, il senatore degli Stati Uniti Tom
Harkin
presentò un progetto di legge
(il Child Labor Deterrence Act) volto a proibire l’importazione
negli USA di prodotti tessili , realizzati con manodopera
minorile, la reazione immediata
degli imprenditori tessili in Bangladesh
fu di licenziare circa 50mila minorenni dalle loro fabbriche.
Indagini condotte nei mesi successivi scoprirono
che la gran parte di questi ragazzi, privi di qualsiasi
alternativa organizzata, erano finiti a fare lavori ancora
più degradanti e faticosi (facchinaggio, carrettieri,
spaccapietre) oppure
a rubare o prostituirsi.Non è
così che si risolvono
i problemi. Situazione in
Bangladesh:
I bambini sono purtroppo una fonte importante
di lavoro sia nelle zone rurali che nelle città.
Il lavoro minorile viene
estensivamente usato
e già a 8/9 anni i
bambini hanno cura completa
del bestiame, aiutano nella pesca etc..A
11 anni sono attivi quanto un adulto.
Già negli anni della scuola elementare i bambini
sono integrati nelle attività di sostentamento
dell’intera famiglia.
Un contadino non può assolutamente permettersi
di dar lavoro ad altri adulti estranei e pagarli, ricorre
quindi ai suoi figli, anche se giovani, per
i vari lavori nei campi. Solo i proprietari
di molto terreno possono permettersi di non far lavorare
i bambini e di mandarli a scuola, compensando la perdita
di lavoro dei figli con personale a pagamento. Nelle
zone rurali sono
i bambini poveri che diventano servi nelle case
dei ricchi, sono loro che non hanno la possibilità
di andare a scuola, sono loro che hanno la loro infanzia
distrutta dalla povertà.
Ma anche nelle città è
la classe sociale che influisce sullo stile di vita del
bambino. Anche se, nelle città, la frequenza
alle scuole è superiore, coloro
che abitano negli slums, non hanno accesso alle
scuole per il motivo semplice che negli slums non vi sono
scuole! La visita ad una delle poche scuole presenti nello
slum, quello di Manda
fa toccare con mano la triste esistenza di questi derelitti,
abbandonati da tutti, che passano quella che dovrebbe
essere la parte più bella e serena della loro vita
in mezzo ai rifiuti,cercando qualcosa da mangiare. L’accesso
indiscriminato alle aree urbane porta ad agglomerati umani
in condizioni
di vita subumane, in cui la mancanza di strade,
di acqua, di fogne e di elettricità,bisogni primari,
fanno passare la scuola in secondo piano.
Lavoro e Scuola: su 100 Bambini
che lavorano, 89 sono senza istruzione;
Moltissimi bambini quindi vivono alla giornata,
di accattonaggio o di lavori che sono inventati
sul momento e il censimento nemmeno li considera:
noi sappiamo che esistono solo perchè
li vediamo. Chi li ha visti razzolare in enormi
discariche, assieme a porci,topi,galline alla ricerca
di qualche cosa non può restare indifferente.Persino
le buste di plastica si recuperano e una volta lavate
si vendono a 15-20 taka al chilo. Poi si fondono e
si ricava qualche oggetto di plastica. Le
bambine lavorano generalmente come domestiche e,
nel 1974, si calcolò che almeno 80.000 bambine
di 10/14 anni facevano servizi domestici in case
altrui; ma anche in età inferiore
molte di esse lavorano a servizio e continuano a farlo
sino a che si sposano in età giovanissima.
In queste condizioni andare a scuola è una chimera
soltanto le più fortunate, se hanno una scuola
pubblica vicina e se il datore di lavoro permette
di assentarsi per 2/3 ore, possono frequentare
la scuola per almeno un anno o due.Un ottimo esempio è
il lavoro del BRAC, ONG del Bangladesh
che ha creato oltre 30mila centri educativi non formali.
In questo paese, fra i più
poveri e sfortunati del mondo con un tasso di analfabetismo
del 65% il BRAC coinvolge centinaia
e migliaia di bambini tra gli 8 e i 14 anni, che altrimenti
non potrebbero studiare. Molti di loro lavorano
nei campi o nell’ industria tessile, e non possono
smettere di farlo da un giorno all’altro.
Per questo il BRAC propone loro giornate scolastiche di
due ore e mezzo in media, in unità
di quartiere. Le scuole BRAC
non comportano oneri economici per i genitori e questa
è una delle ragioni che permette l’incredibile
successo: oltre il 95% degli iscritti
completa il corso triennale e può così accedere
alla quarta classe delle normali scuole elementari.
Così è la scuola nello slum di Manda