Una
vita spesa molto bene
Giuseppina
M. Bakhita nasce in Sudan nel 1869
e muore a Schio (Vicenza)
nel 1947.
Fiore africano, conosce le angosce del rapimento e della
schiavitù, si apre mirabilmente alla grazia in
Italia con le Figlie di Santa Maddalena di Canossa. A
Schio (Vicenza), dove vive per molti anni, tutti
la chiamano ancora «la nostra Madre Moretta».
Il processo per la Causa di Canonizzazione inizia a soli
12 anni dalla sua morte e il 1°dicembre 1978 la Chiesa
emana il decreto sull'eroicità delle sue virtù,
è beatificata
il 17 maggio 1992. La divina Provvidenza
che
«ha cura dei fiori del campo e degli uccelli dell'aria»,
ha guidato questa schiava sudanese, attraverso indicibili
sofferenze, alla libertà
e alla fede, fino alla consacrazione di tutta la propria
vita a Dio, per diffondere il Suo amore concreto. Bakhita,
che significa «fortunata»,
è il nome datole dai suoi rapitori. Venduta
e rivenduta più volte sui mercati di El Obeid
e
di Khartoum, conosce le umiliazioni, le sofferenze fisiche
e morali della schiavitù.
Nella capitale del Sudan, Bakhita viene comperata dal
Console italiano, il signor Callisto Legnani. Per
la prima volta, dal giorno del suo rapimento, si accorge,
con piacevole sorpresa, che nessuno,
nel darle comandi, usa più lo frusta; anzi la trattano
con maniere affabili e cordiali. Nella
casa del console, Bakhita conosce la serenità,
l'affetto e momenti di gioia, sempre velati dalla
nostalgia di una famiglia propria, perduta forse, per
sempre. Situazioni politiche costringono
il Console a partire per l'Italia, Bakhita chiede
ed ottiene di partire con lui e con un suo amico, un certo
signor Augusto Michieli. Giunti a Genova,
il Signor Legnani, su insistente richiesta della moglie
del Michieli accetta che Bakhita resti con loro. Ella
segue la nuova «famiglia» nell'abitazione
di Zianigo di Mirano Veneto e, quando
nasce la figlia Mimmina, Bakhita diventa bambinaia e amica.
L'acquisto e la gestione di un grande hotel a Suakin sul
Mar Rosso, costringono la signora Michieli a trasferirsi
in quella località per aiutare il marito. Nel
frattempo, dietro avviso del loro amministratore Illuminato
Checchini, Mimmina e Bakhita sono affidate alle Suore
Canossiane dell'Istituto dei Catecumeni di Venezia.
Qui Bakhita chiede ed ottiene di conoscere quel Dio che,
fin da bambina «sentiva in cuore senza sapere chi
fosse». «Vedendo il
sole, la luna e le stelle, dicevo tra me: Chi è
mai il Padrone di queste belle cose? E provavo una voglia
grande di vederlo, di conoscerlo e di prestargli omaggio».
Dopo alcuni mesi di catecumenato Bakhita
riceve i sacramenti
dell'Iniziazione cristiana
col suo nome nuovo di Giuseppina.
E’
il 9 gennaio 1890. Quel giorno non sà
come esprimere la sua gioia. I suoi occhi grandi
ed espressivi
sfavillano, rivelando un'intensa commozione. In
seguito la si vede spesso baciare il fonte battesimale
e dire: «Qui sono diventata figlia di Dio!».
Ogni giorno nuovo la rende sempre più consapevole
di come quel Dio, che ora conosce
ed ama, l'aveva condotta
a sé per vie misteriose, tenendola per mano. Quando
la signora Michieli ritorna dall'Africa per riprendersi
la figlia e Bakhita, con decisione e coraggio insoliti,
ella manifesta la sua volontà di rimanere con le
Madri Canossiane e servire quel Dio che le aveva dato
tante prove del suo amore. Per Bakhita si chiarisce la
chiamata a farsi religiosa e a donare tutta se stessa
al Signore.
L'8 dicembre 1896 Giuseppina Bakhita si consacra per sempre
al suo
Dio che lei chiama, con espressione
dolce, «el me Paron».
Per oltre 50 anni questa umile Figlia dell'Africa, vera
testimone dell'amore di Dio, vive, prestandosi in diverse
occupazioni nella casa di Schio: cuciniera, guardarobiera,
ricamatrice, portinaia. Quando si dedica a quest'ultimo
servizio, le sue mani si posano dolci e carezzevoli sulle
teste dei bambini che, ogni giorno, frequentano le scuole
dell'istituto. La sua voce amabile,
che ha l'inflessione delle nenie e dei canti della sua
terra, giunge gradita ai piccoli, confortevole ai poveri
e ai sofferenti, incoraggiante a quanti bussano alla porta
dell'istituto. La sua umiltà,
la sua semplicità
ed il suo costante sorriso conquistano il cuore di tutti
i cittadini.
Le consorelle la stimano per la
sua dolcezza inalterabile, la sua squisita bontà
e il suo profondo desiderio di far conoscere il Signore.
«Siate buoni, amate il Signore,
pregate per quelli che non lo conoscono. Sapeste che grande
grazia
conoscere Dio!». Viene la vecchiaia, la malattia
lunga e dolorosa, ma Madre Bakhita continua
ad offrire testimonianza
di fede, di bontà e di speranza cristiana. A
chi la visita e le chiede, risponde sorridendo:
«Come vol el Paron».
Nell'agonia rivive i terribili giorni della sua schiavitù
e più volte supplica l'infermiera assistente: «Mi
allarghi le catene...pesano!».
E’ Maria
Santissima a liberarla da ogni pena.
Le
sue ultime parole sono: «La Madonna!
La Madonna!», mentre il suo ultimo sorriso
testimonia l'incontro con la Madre di Dio. Bakhita
si spegne l'8 febbraio 1947 nella casa
di Schio,
circondata dalla comunità in pianto
e in preghiera.
Una folla si riversa ben presto nell'Istituto per vedere
un'ultima volta
la sua «Santa Madre Moretta»
e chiederne
la protezione dal cielo. Giovanni Paolo II, il
1 dicembre 1978, firma il decreto della eroicità
delle virtù di madre Bakita, il processo
di canonizzazione
inizia nel 1959
e termina il primo ottobre 2000